Emerge da solo quanto in questo contesto la posizione del contribuente possa essere d’assoluta difficoltà davanti ai metri di misura e di verifica, anche per chi non ha atteggiamenti illeciti.

Tuttavia, in caso di contestazione, esistono degli strumenti che permettono di prevenire o difendersi in modo efficace. Infatti è possibile, come indicato nella Circolare n.28/E/2006 dell’Agenzia dell’Entrate, fornire delle prove contrarie che smentiscano le accuse a carico dimostrando che esista una direzione e un’amministrazione effettiva della società proveniente dallo Stato estero dove risiede.

Diventa utile fare qualche esempio di “prove”. Si può uscire da questa condizione svantaggiosa dimostrando che:

  • Gli insediamenti produttivi/commerciali si trovano a tutti gli effetti all’estero per motivi ragionevoli.
  • La società estera è caratterizzate da una specifica specializzazione che la distingue in modo concreto dalla società capogruppo o dalle consociate.
  • La società estera sia economicamente indipendente rispetto alla società capogruppo.
  • La società estera sia finanziariamente indipendente rispetto alla società capogruppo grazie a un sistema di cash pooling, ovvero di tesoreria centralizzata.
  • I manager della società estera godano di autonomia gestionale per quanto riguarda l’organizzazione del personale, la negoziazione dei contratti con altre imprese estere e l’attività finanziaria (acquisti e spese).

Le prove elencate possono diventare fondamentale nel processo di difesa in quanto la Corte di Cassazione ha dichiarato che:

“Ai fini della configurazione di un abuso del diritto di stabilimento, nell’ipotesi di esterovestizione, ossia di fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società all’estero, non è necessario accertare la sussistenza di ragioni economiche diverse da quelle relative alla convenienza fiscale, ma, invece, occorre verificare se il trasferimento in realtà vi è stato, o no, cioè se l’operazione sia meramente artificiosa, consistendo nella creazione di una forma giuridica che non riproduce una corrispondente e genuina realtà economica“

In pratica la Cassazione dice che, in fase di accertamento, il criterio principale non è tanto individuare le ragioni effettive della delocalizzazione o della residenza estera ma piuttosto verificare se il trasferimento sia reale ed effettivo e non artificioso e simulato.

Anche in questo caso esistono delle soluzioni per evitare la presunzione relativa e possono essere:

  • Una holding mista, cioè una società estera che svolge attività industriali, commerciali o finanziarie e che detiene partecipazioni di controllo. Basterà indicare il luogo estero dove la holding ha la sede e quindi esercita i compiti amministrativi.
  • Una holding di gestione, ovvero una società che si limita alla gestione delle società partecipate e che allo stesso tempo si occupa di compiti amministrativi e finanziari. Questa formula prova che la società svolge una sua attività indipendente all’estero rispetto alle sue partecipate.
  • Una holding passiva, che non è altro che una società che non svolge nessun tipo di attività se non detenere le partecipazioni di società residenti in Italia ma non ha una identificabile sede effettiva all’estero. In questo caso la questione diventa più delicata e complessa in quanto la prova di residenza estera può essere fornita solo dimostrando che le partecipazioni di controllo nelle società Italiane sono una parte minore dell’intero patrimonio della holding estera.
>Esterovestizione: cosa dice la legge

Per concludere questo percorso è importante mettere l’attenzione sul punto principale attorno il quale ruotano gli accertamenti, le investigazioni e le sentenze relative ai casi di esterovestizione.

Per essere più concreti, possiamo prendere a titolo d’esempio la sentenza n. 43809/2015 della Corte di Cassazione, che ha avuto come oggetto l’accusa nei confronti di un gruppo residente in Lussemburgo, titolare di diversi marchi. La società è stata assolta in quanto la direzione e il coordinamento erano effettivamente esistenti nello Stato di residenza. Per giungere a

questa sentenza il giudice ha tenuto in considerazione tre elementi: la costruzione fittizia, la finalità di elusione delle imposte e la libertà di scelta tra carichi fiscali diversi.

Come indicato dall’art. 2359, comma 1 del Codice Civile Italiano, per stabilire dove è situata la sede amministrativa di una società bisogna identificare quale sia il centro effettivo di direzione e coordinamento. Per tanto, la Cassazione dice che tale sede non può essere determinata e classificata come residente in Italia solo perché da lì vengono date le direttive gestionali da seguire ma diventa necessario appurare che nella sede della società estera esista di fatto un’attività reale e funzionante.

L’ art. 162 del Tuir specifica nel dettaglio i parametri che devono essere presi in considerazione in fase d’accertamento per verificare se una società estera sia fittizia.

La chiave di volta del giudizio gira intorno al principio costituzionale che consente all’imprenditore di collocare le sue società e le proprie strutture nel luogo che ritiene più idoneo allo svolgimento delle attività. Le valutazioni dell’imprenditore sono del tutto arbitrarie e insindacabili.

Per concludere, quando si affronta l’argomento esterovestizione è necessario ricordarsi quindi che l’illecito non è costituito dalla volontà di sfruttare i benefici fiscali offerti da determinati Stati ma sta nella costruzione falsa e fittizia di strutture che simulino la presenza all’estero della società.

Da qui l’ultimo importante strumento per difendersi dalle accuse di esteroversione:

L’esterovestizione non si verifica se le direttive amministrative o gestionali di una società estera provengono dall’Italia ma se e solo se la società estera e la sua attività siano una costruzione artificiosa non corrispondente alla realtà.

Abbiamo capito il significato dei concetti di esterovestizione e residenza estera e compreso quali strade i contribuenti possono percorrere per difendersi in caso di accertamento. In tali situazioni svantaggiose è fondamentale sapere che l’onere della prova a carico del tributario non ha solo un’accezione negativa ma può trasformarsi in un potente strumento per smentire le contestazioni.

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